Mio padre voleva che facessi l'ingegnere delle Ferrovie dello Stato. Credo che la generazione dei nostri padri, tornata dalla guerra, provasse un profondo disagio e senso di insicurezza nonostante il boom economico degli anni sessanta.
Noi avevamo perso tutto: la terra d'Istria, la casa, le vigne, lavoro di più generazioni dei <Dapiran> e invece di provare rancore per una Nazione che aveva distrutto la nostra vita con una insensata guerra, mio padre restò uomo delle Istituzioni e volle trasmettere a me un attaccamento allo Stato che non sentivo e ho contestato in seguito nella rivoluzione culturale del sessantotto.
C'era qualcosa di <storto> nella vita che ero obbligato a fare indipendentemente dalla famiglia, non mi riconoscevo nella scuola nella cultura che trasmetteva : stupide nozioni, pappa rimasticata per far accettare lo status quo e indirizzare i giovani verso un futuro di conformismo. No! L'ingegnere delle Ferrovie dello Stato non lo avrei mai fatto, anche il giorno della mia laurea sapevo che non avrei mai fatto l'ingegnere!
Per anni ho creduto in una vita ai margini sociali, nel mondo dello sport: ho intrapreso la professione d'allenatore di nuoto quando non era ancora riconosciuto il suo stato giuridico, ma l'esasperazione nel raggiungere dei risultati mi ha deluso e allontanato da un ambiente che, forse, avevo idealizzato.
Ho voluto provare il mondo produttivo nel settore che amavo di più dopo quello del nuoto: la pesca subacquea. Mi sono bastati cinque anni per capire che anche < la fabbrica> non era per me.
A questo punto della mia vita ho riflettuto sul fatto che ero realizzato solo in mare con un fucile in mano e anche se si profilava un divieto di praticare questa disciplina per la pressione degli ambientalisti, mi sono stabilito in Sardegna per vivere di pesca.
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Questa è la storia, il racconto degli eventi, ma le scelte esistenziali nascono dentro, nel profondo della nostra psiche, in una parte del cervello che è spesso in contrasto con la parte razionale nel conflitto costante tra le emozioni, i sentimenti e il ragionamento.
Credo di non raccontare nulla di nuovo scrivendo che dentro di me percepisco, non due personalità (come spesso si suole dire), ma due modi diversi di elaborare la vita entrambi coscienti ma frutto di due sistemi computazionali diversi.
Un elaboratore è il cervello antico che ha una precisa collocazione neuronale all'interno e sotto la neocorteccia dove si sviluppa il secondo sistema operativo quello del pensiero razionale.
Quanti di noi , nella coscienza, sentono il conflitto tra due sistemi di interpretazione della realtà del mondo circostante, a volte come se due IO litigassero per prevalere nelle scelte.
Ebbene, qualcosa non mi convinceva nella vita, nel percorso che stavo facendo prima di lasciare tutto. Non era andarsene per la ricerca di <se stessi> , come si suole dire, ma per la realizzazione di <me stesso>.
La vita dei <mutanti> non mi interessava, non mi stimolavano i loro obiettivi,una semplice annotazione: sulla terra ferma ero stressato, pieno di contraddizioni, in mare ero rilassato e coerente, sentivo fluire dal mio essere una energia positiva. Ero nato per cacciare sott'acqua, in questa attività ho scoperto un legame antico con gli uomini che mi hanno preceduto, ritrovato culture venatorie sepolte sotto la sovrastruttura della vita moderna.
Non ci siamo evoluti per volere di Dio e altre stupidaggini ma per occupare una nicchia ecologica in rapporto con altre forme di vita e c'è da chiederci se non ci stiamo allontanando troppo e irreversibilmente da quel modello di esistenza.
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Il mio disagio giovanile ha trovato un sollievo nella pratica sportiva: a 14 anni, di nascosto dalla famiglia mi ero iscritto a un corso di nuoto diventando in seguito un velocista nello stile libero. Sono stato scoperto qualche anno dopo perché sul quotidiano locale di Genova risultavo spesso vincitore dei 100 metri stile libero di cui per anni ho avuto il titolo di campione regionale.
Ecco la prima causa d'insoddisfazione: la scuola e lo studio mi obbligavano a una vita sedentaria che non era nella mia indole: ci siamo evoluti per correre inseguendo una preda, abbiamo un corpo dinamico fatto per muoversi non per privilegiare l'attività cerebrale in una vita sedentaria.
Devo dire che lo sport ha attutito il disagio e mi ha reso felice, ma era come una droga: da una parte la vita quotidiana di routine fatta di relazioni con i parenti e gli amici, dall'altra gli allenamenti con la squadra di nuoto in una <società parallela> con altri valori e obiettivi.
La coscienza del disagio sociale ha preso forma nel '68 con i moti studenteschi e la lettura di <L'uomo a una dimensione> di Herbert Marcuse.
Con Marcuse ho approfondito il concetto <alienazione> termine utilizzato da diversi filosofi per indicare lo stato di disagio dell'uomo moderno nella civiltà contemporanea, più precisamente, con la percezione di vivere lontano dalle proprie radici naturali.
Un’analisi diversa da quella di Marx che inquadrava soprattutto l’alienazione economica dell’uomo <lavoratore> che per sopravvivere doveva accettare l’oppressione di una piccola minoranza di uomini proprietari dei <mezzi di produzione>: l’operaio produce dei beni che non gli appartengono perché sono proprietà del capitalista, il suo ruolo non è creativo ma parcellizzato (stringe un bullone nella catena di montaggio).
Per Marcuse,l'uomo è
alienato nella società perché nel proprio lavoro non realizza se stesso, si trova invischiato in regole e leggi ideate e imposte da altri, è vittima e succube di una struttura sociale che non condivide, non è libero!
Negli anni sessanta, nella famiglia si riproponeva lo schema d’oppressione che vigeva nella società, dove il figlio doveva accettare l’ideologia educativa e l’imposizione dei genitori. L’oppressione, allora era la regola della più piccola cellula sociale: la famiglia: Il giovane uomo si educa così a subire e soccombere alle regole che troverà nella società degli adulti.
Ho aderito per cinque anni al Movimento studentesco, sono andato via dalla casa paterna e ho trovato nel presidente della società di nuoto, l’Andrea Doria, la comprensione e un posto di lavoro come istruttore, in seguito di allenatore della squadra agonistica.
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Credo che molti di noi provino i sintomi dell'alienazione come malattia sociale, non solo persone disadattate, borderline, anche molte persone integrate nella società contemporanea. Mi rivolgo a tutti quei pescatori che si sono avvicinati in età matura alla disciplina della pesca subacquea anche dopo una parentesi in età giovanile.
Stai guidando la tua autovettura per recarti al lavoro dove hai giuste prospettive di successo e di carriera, quando per un istante hai la percezione di non essere nato per tutto ciò, ma vedi le facce delle altre persone che in coda sulla strada come te vanno al lavoro, allora sei pervaso dalla convinzione che pur con le mille contraddizioni stai svolgendo il tuo ruolo nella società, per te, per la tua famiglia.
Per un solo istante hai percepito <l'alienazione> perché in un flash hai provato il distacco dallo stato nel quale sono immersi tutti! La mente è corsa al week end quando andrai al mare o a una passeggiata nei prati quando recupererai la tua dimensione di <uomo libero>.
Andrai al supermercato con la tua compagna e ti sembrerà del tutto naturale, solo, che rottura scegliere tra gli scaffali, dove <lei> è perfettamente a suo agio.
Avere la coscienza dell'alienazione di dover mangiare la carne di un animale che non hai cacciato, ma che un professionista ha ucciso e confezionato per te sotto una pellicola di cellofan non è immediato!
Una sovrastruttura mentale condiziona il tuo pensiero: tutto è cominciato nella famiglia, poi nella scuola, sul lavoro, accetti e ragioni su una vita che è lontana da quelle che sono le tue radici, ma ne hai solo brevi flash che emergono dal tuo IO istintivo.
Che strano, sei felice solo dopo l'attività fisica (quella che chiamano sport), il sesso con la tua compagna, la socialità con i tuoi consanguinei.
L'evoluzione ha creato un circuito neurale del piacere per le cose che hanno un ruolo positivo alla sopravvivenza della specie, così con un pesce catturato in mano mentre lo mostri alla tua compagna che discute come cucinarlo provi l'apoteosi dei sensi!
L'alienazione è tutto ciò che ci allontana dalla ragione delle nostre origini, dall'equilibrio ecologico col mondo che ci circonda.
La pesca non è un hobbie, ma un'attività coerente con la nostra natura che come tale ci procura un piacere. Anche diecimila anni dopo l'invenzione dell'allevamento e dell'agricoltura abbiamo ancora una forte matrice emotiva- esistenziale di cacciatori raccoglitori.
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Non ci siamo evoluti per vivere in una metropoli, seduti su una sedia per buona parte della giornata e mangiare cibo confezionato in una vaschetta di polistirolo. Come una tigre non si è evoluta per vivere in gabbia e mangiare l'animale morto che gli fornisce il guardiano dello zoo.
L'alienazione è la perdita delle funzioni primarie dell'essere vivente.
La consapevolezza di questo stato esistenziale non è immediato, almeno, non lo è stato per me che sono passato dalla ribellione in famiglia, alla ribellione marxista. Ti accorgi che nella tua vita c'è <qualcosa che non va>: nell'indagare sul malessere sei distratto dai rapporti sociali che metti al centro delle cause del disagio, invece, dipende dal <sistema di vita>. Sei ingannato, distratto, dal fatto che tutti, gli altri, accettano quel tipo di esistenza, sei portato a credere d'avere una mentalità deviata. La parvenza di libertà ti confonde, il sesso costruisce nella tua esistenza falsi obiettivi, così come la carriera nel lavoro, con istanti di benessere o una ridda di emozioni che ti fa dire: <questa è la vita>!
Invece sei schiavo di quella vita ...
L'emancipazione dall'alienazione è un processo lento ma ha un suo inizio: fai alcune cose che ti piacciono che procurano benessere, motivazioni soddisfacenti, e decidi di ripeterle come le partite di calcetto.
Ho pescato sott'acqua da sempre, da quando ho seguito mio padre che pescava osservandolo dalla superficie. La vedevo come un'attività ludica che si inseriva occasionalmente nella routine della mia vita da mutante. Inizialmente era il pesce per mia madre, lo mangiavamo in famiglia, poi in vacanza dalla scuola e successivamente dagli esami universitari lo vendevo ai campeggiatori e mi mantenevo economicamente senza dover dipendere da mio padre. La pesca è stata la prima forma di emancipazione economica dalla famiglia.
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Il ricatto sociale ti obbliga ad accettare le regole dello <status quo> : se vuoi mangiare, o quanto meno <vivere>, non hai altre alternative che sottometterti. Per un po di tempo ho creduto nell'ideologia comunista poi ho dovuto constatare che il comunismo reale costruiva solo delle dittature, ma non del popolo, piuttosto di una oligarchia che governava nel nome degli ideali marxisti, in realtà costruiva un regime poliziesco che stroncava ogni contestazione.
Illuso, deluso dalla ideologia giovanile ho cercato delle soluzioni individuali, prima facendo l'insegnante serale ad un istituto tecnico industriale con nomina annuale da parte del preside (l'occupazione dell'istituto per 40 giorni con assemblee degli studenti ha compromesso ogni mia riassunzione), poi l'allenatore di nuoto, infine l'ingegnere in fabbrica. In tutte le esperienze ho avuto un certo successo, nel senso tradizionale del termine, ma non era questo che cercavo: il malessere di vivere mi faceva felice solo in mare. Nella pesca ritrovavo il mio equilibrio di uomo, possibile che un hobby appagasse la mia esistenza?
Non potendo cambiare la società, come ho verificato dopo il '68 e avendo preso le distanze dalle Brigate Rosse, non restava che trovarmi una nicchia ai margini sociali, dove stabilire le mie regole di vita in parziale autonomia. Eh si! lo Stato mica ti lascia libero... Sono dovuto scendere a compromessi con la tecnologia dei tempi moderni, con le leggi del momento, moderno cacciatore in una società dove la caccia non era più funzionale alla sopravvivenza.
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Compromessi che hanno favorito la mobilità della caccia a differenza della pratica dei nostri antenati che per sopravvivere hanno dovuto scegliere il nomadismo. Nella serie di articoli <Chi siamo> ho approfondito lo studio antropologico delle società primitive di CR (CACCIATORI RACCOGLITORI) alle quali mi sentivo ideologicamente legato anche per trovare una <sostenibilità> della moderna attività della caccia subacquea.
Nonostante la civilizzazione e l'esplosione demografica l'ambiente marino è rimasto relativamente primitivo: l'uomo ha colonizzato la terra ferma, ma solo occasionalmente si spinge in mare, o per spostarsi da un continente all'altro o per la pesca industriale e professionale. In mare troviamo un ambiente come quello ancestrale che i primi Homo sapiens hanno trovato nel Paleolitico: io con il mio attrezzo auto costruito caccio, la mia compagna sugli scogli raccoglie il granchio favollo, i ricci e i bocconi (murice spinoso), si ripropone la coppia di CR evolutasi decine di migliaia di anni fa.
<Pazza l'idea> di rivivere come l'ominide ancestrale! Non <sputo> sulla evoluzione di Homo sapiens, ai tempi del paleolitico questo Homo viveva fino a trenta anni mentre ora che sto scrivendo ne ho compiti 75 con tutta la saggezza e l'esperienza della mia età. Voglio soltanto puntare il dito sulle contraddizioni della vita moderna che si è allontanato troppo dalle radici della nostra specie partorendo ideologie e una cultura veramente lontane dalla nostra <natura>. Un esempio:
Ci stupiamo del razzismo e lo deprechiamo, ma nell'età antica quando s'incontravano due tribù non consanguinee i due gruppi cercavano subito di ammazzarsi. L'idiosincrasia per l'estraneo, lo straniero, ha radici antiche, direi di natura genetica: l'evoluzione vuole la supremazia dei <buoni geni>, solo questa può garantire il successo evolutivo. Perché il maschio del leone quando si accosta alla femmina uccide i cuccioli di un altro padre?
Noi crediamo di aver <superato> questi istinti, ma l'evoluzione culturale della nostra civiltà ha avuto tempi troppo rapidi per determinare un cambiamento dei sentimenti più profondi: il controllo della neocorteccia, razionale, sul cervello antico non è ancora <totale>. Il cervello antico conserva la cultura della specie e ci dice cosa fare senza alcun ragionamento, quotidianamente, viviamo il conflitto tra la nostra mente razionale e i nostri istinti sotto forma di <sentimenti>. Chi di noi non vive questo conflitto?
Purtroppo gli istinti in molti casi della vita moderna non sono più adeguati, abbiamo perso una guida importante, guida che invece hanno conservato gli animali che si comportano sempre secondo natura.
La ragione dell'alienazione dell'uomo moderno è la perdita di questa guida!
Nella confusione mentale proposta dalla <cultura dominante> ho scelto di tornare al sistema di vita del profondo passato, con piccoli compromessi con l'età moderna. Questa scelta mi ha rasserenato, fatto emergere soddisfazioni, appagamenti sconosciuti nella vita di prima e soprattutto avere una chiave di lettura degli eventi contemporanei molto distaccata: in me l'Homo del Paleolitico giudica il <Mutante> che si è evoluto senza regole ecologiche, in maniere disordinata senza poter vedere <dove e perché>.
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La deriva della nostra evoluzione culturale è imprevedibile e assolutamente caotica, comunque ci porta lontano dalle nostre radici. Cosa facciamo di quella parte di noi che resta legata alle origini come per tutti gli altri animali e detta cosa mangiare, i riti della riproduzione, i nostri comportamenti.
Gli istinti non si sono evoluti di recente ma hanno origini lontanissime nel tempo , in molti casi nelle specie che ci hanno preceduti e dalle quali li abbiamo ereditati, si tratta di decine, a volte centinaia di milioni di anni.
L'evoluzione culturale si sviluppa in migliaia di anni, quella biologica in milioni di anni, questa discrasia è la causa della nostra alienazione.
L'uomo moderno vive la sua modernità con la mente tribale del CR. l'organizzazione dei circuiti neurali e della sua mente è ancora quella dell'uomo che vestito di una pelle scappa inseguito da una fiera
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Per vent'anni ho vissuto di pesca con metodo e perseveranza: tre-uno-due-uno erano i ritmi venatori che mi ero imposto (tre di pesca uno di riposo, due di pesca uno di riposo). Così, una settimana dopo l'altra sono entrato in una nuova dimensione mentale imparando a conoscere il comportamento e le abitudini delle varie specie di pesci, ma non solo, scoprendo delle mie attitudini e facoltà nascoste.
In caccia ho imparato a creare il <vuoto mentale> disconnettendo il mio IO razionale per agire d'istinto. Solo dopo l'azione venatoria riaffioravano i pensieri e quel ragionamento interiore che memorizzava i luoghi, il comportamento delle prede, le condizioni ambientali, insomma, tutti i dati sensibili dell'azione di caccia.
L'operazione mentale però, restava racchiusa in una forma di coscienza sommersa.
Tratto da " Le invenzioni della vita" di Nick Lane:
"La maggior parte dei neuro-scienziati distingue tra due forme di coscienza, che hanno le loro radici nella struttura del cervello. I termini e le definizioni variano, ma l'espressione <<coscienza estesa>> si riferisce essenzialmente alle manifestazioni più compiute della mente umana, del tutto irraggiungibili senza il linguaggio, la società e così via; mentre la <<coscienza primaria>> è qualcosa di più animale: le emozioni, le motivazioni, il dolore, un rudimentale senso di se privo di una prospettiva autobiografica ..."
Il mio comportamento animale in caccia era dettato dalla coscienza primaria, a volte, in contrasto e in contrapposizione con il vero ragionamento cosciente. Com'è nata la strategia dell'agguato profondo?
Dalla superficie, identificata una zona promettente per l'incontro con una possibile preda, mi immergevo controllando il circondario con rotazioni della testa, sceglievo una nicchia tra le rocce del fondo e mi disponevo <all'aspetto>. Tutta l'operazione era frutto di una scelta razionale, lucida e premeditata. Se nessun pesce nei dintorni era stimolato a un controllo territoriale sulla mia invasione, dopo una ventina di secondi tornavo in superficie. Un giorno un impulso ancestrale mi ha spinto a muovermi, avanzare nuotando circospetto perché l'appostamento era risultato infruttuoso. Non è stata una scelta razionale ma un'azione d'istinto.
Quando ho iniziato a interpretare i miei primi video, era abitudine rivedere insieme all'operatore subacqueo le scene delle catture per commentarle anche suggerendo tecniche e strategia di ripresa più efficaci. Spesso rimanevo sorpreso del mio comportamento venatorio e mi chiedevo il perché di certe scelte, a quel punto riaffiorava la razionalità, l'interpretazione del mio comportamento istintivo.
Così sono nati i testi dei primi video sull'agguato: cercando di spiegare quello che avevo fatto d'istinto!
Nascosta in qualche circuito neurale antico si è conservata la conoscenza, la saggezza venatoria, che non appartiene alla esperienza della mia vita, ma a quella della mia specie.
Ho sperimentato la sintonia con il CACCIATORE che si cela nella mente dell'uomo moderno. Quello che avete visto nei miei video non è l'azione di un singolo uomo, ma quella di migliaia di generazioni di cacciatori che mi hanno preceduto.
Quel periodo mistico però si è chiuso ...
Persi i ritmi di caccia sono tornato un semplice mutante che ripete gli schemi di caccia già conosciuti e la mia creatività venatoria si è persA per sempre.