Un caro saluto a tutti. Ogni tanto mi affaccio sul forum per poter restare vicino ai miei amici, che così vi considero anche se non ho mai avuto il piacere di conoscere nessuno di voi. E vi aggiorno un pò sulla situazione che stiamo vivendo qui al nord in merito a questa pandemia, in modo che sappiate la verità di come stanno andando realmente le cose e di come si tenti di dare un’organizzazione a questo caos. Il forum è in forma anonima e chiedo che nessuno posti e pubblichi altrove queste righe perchè ci potrebbero essere ripercussioni negative per me.
Io lavoro a Novara che è il secondo ospedale (Azienda Ospedaliero-Universitaria) del Piemonte dopo le Molinette di Torino (la cosiddetta Città della salute). Si trova al confine con la Lombardia e quindi di fatto siamo mezzo lombardi. Da quando è scoppiata questa pandemia le cose sono andate peggiorando in un crescendo talmente rapido che le varie entità che presiedono l’organizzazione generale sono rimaste spiazzate, come avete potuto constatare di persona leggendo o vedendo i vari TG (anche se in Cina era già da un mese che si andava dicendo che…). La situazione in Piemonte non è paragonabile a quella della Lombardia, dove i problemi vanno moltiplicati per 10, ma già qui da noi è drammatica, figuriamoci lì.
In pratica una alla volta sono state convertite tutte le strutture dell’ospedale in strutture per trattamento COVID-19, fatta eccezione per Ginecologia-Ostetricia, Centro trapianti e dialisi e naturalmente i laboratori e le Radiologie. Il mio reparto non esiste più (peraltro c’è un calo inspiegabile delle urgenze di circa il 90%) e i medici di tutti i reparti convertiti lavorano sui pazienti COVID (me compreso ovviamente). Ci sono vari livelli di trattamento terapeutico e organizzazione logistica.
Il primo è il Pronto Soccorso, dove arrivano tutti i pazienti affetti dai sintomi che devono essere sottoposti alla TAC polmonare qualora presentino le caratteristiche cliniche del sospetto COVID. Perchè non è il tampone la prima indagine eseguita bensì la TAC, che se dimostra la presenza della polmonite solo dopo conduce al tampone per confermare la diagnosi. Ovviamente l’accesso al PS è continuo in questo periodo e per non correre il rischio che si blocchi il PS i pazienti sospetti in attesa della conferma del tampone sono inviati in reparti di primo livello, che di fatto sono reparti (sempre requisiti) che fanno da filtro e luogo temporaneo di degenza ma in cui vi sono attacchi per l’ossigenazione e bombole e maschere e quant’altro occorre perchè comunque l’80% sono con sintomi respiratori. Il restante 20% ha una forma del virus più mite di tipo gastrointestinale che è anche meno grave o solo con febbre e tosse e spesso non necessitano dei supporti respiratori. Non appena arrivano i risultati del tampone abbiamo due strade: se positivo vanno immediatamente trasferiti ad un reparto di secondo livello dove soggiornano con i presidi per la respirazione venendo monitorati di continuo, se negativi vanno in altri reparti per pz non COVID, altrimenti se lo prenderebbero pure loro se rimanessero con gli altri. Il primo livello va svuotato immediatamente altrimenti il PS non può trasferirvi i pz sospetti che vi accedono e si bloccherebbe. E’ un turn-over continuo in cui si pratica lo smistamento e la prima cura (soprattutto respiratoria) dei pz, gravato peraltro da una burocrazia assurda perchè tra consensi, segnalazioni al ministero, all’ISS etc il compito viene ovviamente complicato. Il monitoraggio respiratorio è fondamentalemperchè l’insufficienza respiratoria grave può avvenire in meno di mezz’ora.
Nel secondo livello i pazienti rimangono se stabili, ma se dovessero peggiorare, tanto da richiedere supporti respiratori maggiori (le famose CPAP) allora vanno trasferiti al terzo livello, costituito da reparti con CPAP e macchinari per la ventilazione assistita ma senza necessità di intubazione. Infine i casi più gravi, quelli cioè che non beneficiano delle cure del terzo livello vengono trasferiti al quarto livello, che sono le Rianimazioni e le Terapie Intensive, dove vi sono i pazienti in tubati e quindi questo livello è gestito solo dagli anestesisti e rianimatori.
Terzo e quarto livello sono ovviamente i luoghi con la maggiore mortalità. La mia cardiochirurgia appartiene ai reparti del terzo livello in quanto dotata comunque di apparecchiature e postazioni per il sostegno respiratorio che già erano in uso per i pazienti operati al cuore.
I pazienti cardiochirurgici sono ricoverati in una delle due unità di Cardiologia (l’altra è stata trasformata in terzo livello) e per quelli operati di fresco abbiamo riservati due posti in rianimazione generale. Tutti i cardiochirurghi fanno le guardie notturne ai paz COVID metre sono reperibili nelle ore diurne per le urgenze cardiochirurgiche. I turni di di guardia sono di 10-12 ore e quelli di reperibilità arrivano ad essere anche di 48 consecutive (come nel we appena trascorso). Una settimana può arrivare a 70-80 ore lavorative.
Questo per quel che riguarda la nostra organizzazione.
Ovviamente il problema sono il numero di posti letto del terzo e quarto livello, legato al numero dei ventilatori e CPAP e soprattutto alla quantità di personale disponibile che deve almeno essere un minimo specializzato nel trattamento di questi pz ma che non era previsto per un flusso simile. Quindi per liberare medici un pò più competenti sono stati arruolati specializzandi al primo anno a dare una mano (soprattutto per le cose burocratiche e generali, in modo da liberare il medico di turno da lavori del cavolo che ostacolerebbero le cure).
Quindi primo problema il reperimento di personale adeguato.
Il secondo problema riguarda le forniture delle apparecchiature per la cura e dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
I posti in terapia intensiva in un ospedale sono in numero previsto per situazioni normali e quindi in questo caso sono pochi. Ognuna di queste postazioni richiede la presenza di ventilatori, monitor, defibrillatori, medici e infermieri dedicati etc…Nel nostro ospedale (ma immagino anche negli altri), si stanno chiudendo i corridoi tra un padiglione e l’altro (60-70 metri di corridoi) e si fanno lavori strutturali per approntarvi Terapie Intensive. Se il flusso dei contagi non cala tra poco verrà requisito il locale della mensa, molto grande e seminuovo, per portarvi dentro i malati.
Quelli che in televisione vedete vestiti di bianco tipo palombari sono i sanitari del quarto livello, quindi rianimazioni e terapie intensive. A loro deve essere garantita la presenza dei DPI. E poichè purtroppo stanno finendo, una recente circolare dell’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha stabilito che, in previsione di una imminente carenza mondiale di DPI, alcuni livelli non hanno più diritto ad alcuni tipi di DIP. Ad esempio io prima avevo mascherina con filtraggio (quella bianca, anche se ce ne sono di tre tipi ma fa niente), camice idrorepellente, guanti calzari e copricapo. Quando strettamente a contatto del paziente anche la visiera. Ora non ho più diritto alla mascherina bianca, al camice idrorepellente e alla visiera, pur rimanendo in contatto con i casi già accertati positivi. Quella che vedete nell’immagine a fine post è l’ultima mascherina bianca in dotazione, che ho voluto ricordare così. Avremo mascherine chirurgiche, che non hanno alcuna efficacia protettiva e camici normali, anch’essi scarsamente protettivi. Ma questo, ripeto, non lo dice il mio Ospedale bensì l’OMS…
Stanno anche finendo, anzi sono finiti, i dispositivi CPAP dei pazienti, che sarebbero monouso ma che vengono riutilizzati con una sterilizzazione fatta in ospedale, tolti ai pazienti deceduti o che non ne hanno più bisogno perchè migliorati. Anche le scorte di amuchina e disinfettanti sono quelle che sono. Insomma, mi ricorda molto la storia dei “ragazzi del 99”, mandati al fronte con fucili di legno e baionetta in nome della Patria.
Il risultato di tutto questo è che questa guerra, in cui i soldati stavolta non sono dei militari ma dei sanitari, i morti e i feriti stanno da entrambe le parti, come sempre. Credo che il 70% di noi (stima non confutata da dati reali ma per scambio di opinioni) sia già infetto. Le stime ufficiali parlano di poco meno di 4000 sanitari contagiati ma considerate che queste sono le cifre legate ai tamponi risultati positivi, quindi eseguiti. Io ad esempio ho avuto tutti i sintomi ad eccezione della febbre (capita, per cui il rilevamento della temperatura non è una certezza) ma non siamo suscettibili di tampone se non abbiamo sintomi importanti che non ci consentono di lavorare. E ciò perchè ovviamente se risultasse il tampone positivo al 70% di noi (ma anche solo al 30%), con conseguente obbligo di quarantena, verrebbero a mancare i soldati. Vari miei colleghi alla fine avevano sintomi più importanti, hanno fatto il tampone e sono risultati tutti positivi. Non solo, ma a casa loro hanno contagiato i familiari. E credo che lo stesso sia capitato a casa mia, dove mia figlia di 28 anni ha febbre e sintomi gastrointestinali compatibili (per fortuna pare non ci sia la forma polmonare) e entrambi siamo isolati nelle nostra stanza e facciamo la terapia (un pò virtuale, perchè non c’è una vera terapia). Io ovviamente devo andare a lavorare lo stesso. Solo che in casa ho altri due figli e una moglie. Chissà se tutto questo, quando sarà finita questa fase della nostra vita, insegnerà qualcosa ai nostri governanti, che hanno solo saputo fare tagli alla sanità, far scappare giovani medici fuori dal loro paese (salvo poi gettare nella mischia giovanotti appena usciti dalla scuola) e non mettere un centesimo sul bilancio della scienza. Purtroppo siamo in Italia, il cosiddetto Belpaese, e alla prima bella giornata di sole vedrete che tutto sarà dimenticato. Al massimo nelle nostre città, insieme alle vie dedicate ai ragazzi del 99, ci sarà anche “Via dei martiri del 2020”.
Un caro saluto e alla prossima.