Interessante argomento che ci porta a una domanda fondamentale: per quale motivo scendiamo in mare e corriamo, chi più chi meno, dei rischi a volte invisibili , a volte concreti e devastanti?
Io ho sempre visto il mare come una madre che ci accoglie benevolmente, fino a quando non incappai in un attacco di panico che mi ha emotivamente devastato per tanto tempo.
Da li ho capito che il mare è si una madre, ma di quelle severe fino all'inverosimile, capace di fustigarci e demolirci in un attimo.
Anche quelle sono madri che educano i figli..ma i figli reggeranno a lungo questa "educazione"?
Non mi interessa particolarmente entrare in argomenti troppo legati alla fisiologia dell'uomo immerso, e non credo che potremmo mai riacquistare quello status di " Homo acquaticus" di cui alcuni parlano. Siamo comunque troppo lontani, mediamente , da una vita a mollo nel mare per poter ambire a questo. Beato chi ci riesce e chi si sa adattare velocemente a questa vita ambigua, metà bipede terrestre e metà anfibio con tendenze alla vita acquatica.
Io vado in mare per stare bene con me stesso e avere una macchina del tempo che mi tolga di torno certe miserie terrestri. In questo, come dice Giorgio, potrei dire che l'apnea è una questione di testa. Ma solo perchè la testa ci ringrazia per la meraviglia di cui siamo testimoni attivi mentre siamo immersi sott'acqua. Ci ringrazia e ci benedice perchè ci mettiamo nella meravigliosa condizione di poter piacevolmente riappropriarci di quella posizione di animali predatori inseriti nella catena alimentare e della vita del nostro pianeta, riprendendo il filo interrotto qualche migliaio di anni fa.
Sappiamo tutti che è una condizione transitoria e instabile e che appena riemersi e tornati alla vita normale ritroviamo tutta la nostra fragile condizione di bipedi incarcerati in schemi sociali convenzionali ma inaccettabili per il nostro antico genoma.
Però la testa valuta come un qualcosa di prezioso e inestimabile quei momenti passati veramente da persone libere e sintonizzate con la natura.
In questo trovo la conferma della frase di partenza.
Ma fisiologicamente ha mille volte ragione Giorgio quando dice che solo la pratica quotidiana o frequente dell'apnea ci rende capaci di sopportare certi tassi di CO2, di sopportare l'accumulo di acido lattico in muscoli che la vita terrestre non sollecita quasi mai..insomma, conta la testa, ma solo per darci la volontà di continuare ad allenarci.
Probabilmente abbracciando certe filosofie di vita come quelle orientali, si potrebbe arrivare ad una maggiore importanza del fattore mentale riferito alla pratica dell'apnea, ma francamente fatico a capire come possa un impiegato di banca, o un insegnante come me, o un commerciante sempre a contatto con clienti e caciaroni vari, staccare la spina e per tre, quattro volte la settimana, trasformarsi in un etereo sacerdote che vive di meditazione yoga sulla cime di una montagna deserta....
Tentiamo, proviamo a scimmiottare chi magari vive davvero in un modo alieno al nostro mondo occidentale, ma inevitabilmente siamo risucchiati dalla nostra realtà in modo inesorabile e beffardo.
Per cui, ecco che scendere in acqua con velleità da guru del Pranayama, si rivela spesso una corsa inutile che ci vede perdenti.
resta la domanda di fondo: perchè?
Forse la cosa più semplice è che a me piace tanto procurare il pesce per la mia cena e i miei pranzi in un modo talmente soddisfacente e gratificante che non potrei mai farne a meno.
Forse perchè mio padre mi ha contagiato questo spirito venatorio e , abbandonata la caccia terrestre , ho preferito la via della pesca subacquea perchè alla fine la ritengo quella più sportiva e che ci avvicina più facilmente ad una condizione primordiale.
E da quel giorno in cui mi parve di morire senza darmi una spiegazione logica e razionale, ho capito che non saranno mai i metri o i minuti di apnea profonda a sancire il mio contatto con la natura, ma solo la felicità di aver avuto la meglio su un pesce diffidente e scaltro abituato a schivare pericoli ad ogni secondo della propria vita. Perchè nel momento della cattura capisco che, anche in quell'ambiente più disturbato e con delle prede smaliziate e nervose, la mia capacità venatoria ha avuto la meglio.
Piccole soddisfazioni forse, per chi fa strage di grosse prede profonde, ma il vero successo della mente è che riesce a trarre godimento e soddisfazione senza per forza rischiare di andare in tilt.