Dall'articolo pubblicato sul Corriere della Sera di due giorni fa:
“<<Le cernie erano scomparse, soprattutto per mano dei pescatori subacquei, che cercavano di uccidere gli esemplari più grandi». Ora che la pesca sportiva è vietata, le cernie sono tornate. «Ne abbiamo contate 300 nel nostro recente censimento organizzato in contemporanea con tutti i diving center della costa», racconta Pietro Campodonico, l’altro ecologo marino che collabora con Fanciulli (direttore del Parco di Portofino).
Una ennesima criminalizzazione gratuita e senza prove dell’effetto dell’attività della pesca subacquea, un riscontro non scientifico da parte di chi dovrebbe avere del metodo scientifico l’unica forma di indagine sull’ambiente. Il <gatto e la volpe> si sono uniti nel raggiungere questa <verità> così amata dagli ambientalisti: i biologi marini e i dyving center. Chissà come avranno contato le cernie, probabilmente col metodo “visus censis” che conta più volte i pesci animali molto mobili nell’ambiente subacqueo, ma non è questo il problema perché sono veramente soddisfatto di questa abbondanza di avvistamenti di cui contesto solo i numeri e il trionfalismo.
Voglio solo spiegare ai dottori di una <non scienza> le modeste osservazioni di un ingegnere che ha fatto del metodo scientifico introdotto da Galilei l’unico criterio per descrivere la realtà del mondo che mi circonda, mondo sommerso compreso, nel quale conto 65.000 ore d’immersione venatoria. Per chi non mi conoscesse, sono nato nel 1943, cresciuto a Genova ho imparato a nuotare a cinque anni a Bogliasco dietro mio padre pioniere della pesca subacquea. Ho pescato a Portofino innumerevoli volte, conosco meglio di chi ora s’immerge con gli autorespiratori i fondali del <Monte> così chiamato da noi rivieraschi. Ho lasciato la Liguria per trasferirmi in Sardegna nel 1980 e già allora la cernia bruna si avvistava, ma difficilmente si riusciva a catturare. Era per lo più una preda di chi pescava con gli autorespiratori perché la caratteristica dei fondali rocciosi di Portofino è di tane e grotte senza possibilità di esplorazione per un apneista anche di buon livello soprattutto per un: <categoria nazionale> com’ero proprio negli anni 80. Mi spiego meglio: in apnea si può restare sul fondo non più di tre minuti con una media di un minuto e trenta in immersioni successive anche per un forte pescatore, in questo tempo è impossibile seguire la cernia bruna nella sua tana e insidiarla in fessure e spacchi inaccessibili. Altra caratteristica dei fondali di Portofino è la rapidità con la quale precipita a oltre cinquanta metri di profondità dove l’inseguimento da parte del pescatore in apnea è pressoché impossibile. Non metto in dubbio che ai tempi di Gonzatti (una targa ricorda la sua morte in immersione nel 1947 con l’ARO proprio sul Monte) la cernia bruna frequentasse i bassi fondali della parete a picco del promontorio, ma già ai tempi delle mie frequentazioni, trenta anni dopo, questo serranide non viveva più nei fondali accessibili alla pesca in apnea. L’immagine che i biologi marini attribuiscono ai pesci è di un animale incauto fiducioso nei confronti dell’uomo in immersione, in realtà non è così: sono animali molto astuti che a un iniziale atteggiamento fiducioso, ai primordi della nostra disciplina, hanno cambiato atteggiamento o fuggendo verso il largo e in profondità o rifugiandosi in tane inaccessibili. La versatilità del loro atteggiamento è tale da riconoscere cosa e chi comporta un pericolo per la sua sopravvivenza, per cui nelle aree marine protette si avvicina al subacqueo, mentre dove la pesca in apnea è consentita, si tiene a debita distanza, per non dire che fugge a tutta velocità. L’errore del biologo è considerare i pesci con lo stesso comportamento, dentro e fuori i parchi marini e le AMP, posso asserire che i pesci hanno culture diverse se vivono in un’area protetta o fuori! In sostanza è la stessa differenza tra i selvatici nel loro ambiente naturale e gli stessi animali negli zoo. I parchi marini, come i parchi terrestri, sono zoo senza gabbie, in ambiente naturale e non è un caso che si sia creata l’industria turistica di visitare gli zoo all’aperto. Non ho niente in contrario, anzi, sono convinto che i dyving svolgano un’attività sostenibile e di grande merito e capisco che i pescatori in apnea sottraggano gli <attori> delle loro immersioni, ma tra questo e asserire che siano gli sterminatori della cernia bruna significa criminalizzare una minoranza che ha diritto come loro a svolgere un’ attività che porta a mangiare il pesce fresco procurato con le proprie mani.
Nell’articolo citato ci sono diverse imprecisioni non per mano del giornalista ma per mano delle dichiarazioni dei biologi:
1) “Colpendo gli esemplari più grossi, che arrivano a 40 chili, i sub eliminavano i maschi riproduttori, provocando danni irreversibili. Le cernie sono predatori di vertice che cambiano sesso nel corso della vita: alle caratteristiche ermafrodite (nasce femmina e diventa maschio) è strettamente legata la fortuna riproduttiva.”Nella mia lunga vita di pescatore subacqueo non ho mai catturato una cernia bruna di 40 chili e mai l’ho vista, ne al Monte, ne in Sardegna, ne in altri siti. Errore di valutazione, magari chi si reca a Portofino pensa di incontrare questi <pachidermi> del mare, non è così: vedranno al massimo qualche cernia di 25 chili (e non è poco). Dov’è allora la baggianata? Di sperma si sa, in tutto il mondo da quello terrestre a quello marino ce n’è in abbondanza, il patrimonio di una specie è nelle uova quindi nelle femmine, in conclusione è il contrario di quello scritto sul quotidiano: sono le femmine da salvare, i pesci più piccoli! Informo i biologi del parco di Portofino che a Lavezzi i responsabili del parco delle bocche di Bonifacio stanno pensando di <eliminare> qualche grosso maschio giudicato in sovrannumero per il cibo disponibile, poiché l’area protetta ha richiamato tutte le cernie dei dintorni.
2) Veniamo al punto cruciale della mia tesi: l’istituzione di Parchi marini o AMP svuota di pesci le zone circostanti. Proprio perché i pesci sono animali opportunisti e astuti <colonizzano> le zone, dove la loro sopravvivenza è garantita. A ogni istituzione di queste aree protette è seguito l’impoverimento delle aree circostanti per la soddisfazione dei responsabili che possono vantare <i pesci sono tornati>. Non sono pesci nati e cresciuti nell’area protetta ma individui reclutati dalle zone circostanti. E’ come mettere un’arnia al centro di un bosco e reclamizzare che l’orso vive in quella zona: se non troverà più cibo ma qualche schioppettata, si allontanerà definitivamente. La cernia bruna come molti altri pesci rilascia le uova fecondate nelle correnti planctoniche che posso andare a ripopolare zone lontane anche molte miglia. Quasi nessun grosso pesce fa il nido e il pesce che s’incontra in un parco marino è figlio di un uovo giunto da chissà quanti chilometri di distanza.
3) L’area protetta crea una densità di fauna artificiale (a volte in eccesso alle risorse disponibili). L’uomo come saggio gestore di risorse naturali è un’utopia poco credibile perché le variabili ambientali sono numerose e a volte sconosciute, sarebbe meglio che scendesse dal suo piedistallo e con modestia si mettesse a studiare l’etologia di animali ancora per lui misteriosi. Al biologo basta assegnare un nome a una specie che già pensa di conoscerla. La cernia bruna è un pesce insaziabile e prevalentemente stanziale, imparate a vederlo come un grosso maiale che divora tutto anche i suoi sub-adulti. Troppe cernie in una zona tolgono spazio vitale ad altre specie esattamente come l’uomo ha tolto lo spazio ai selvatici sulla terra ferma. Non gioite troppo dell’abbondanza della cernia bruna, sarà sicuramente a scapito di altre specie, qual’è il giusto equilibrio nella presenza delle specie? Tot saraghi, altrettante corvine e scorfani ecc , nessuno lo sa. Mi rallegro quando in una mia battuta di pesca avvisto un po’ tutte le specie, mentre sono preoccupato per il futuro quando vedo la prevalenza di alcune e la scomparsa di altre, come la spigola e i cefali nel nord Sardegna.
4) La strategia di sopravvivenza della cernia bruna, per anni, è stato il <deep water refugia> , prospezioni con videocamere subacquee a più di 50 metri di profondità hanno rivelato le pareti di vertiginosi picchi subacquei tappezzati di cernie, d’altra parte una cernia bruna di più di 25 chili mediamente ha trent’anni ed è nata ben prima dell’istituzione della maggior parte dei parchi in Italia.
5) La produttività di un’area del Mediterraneo prescinde dall’istituzione di un’area protetta e dipende dal prelievo professionale che agisce ogni giorno su quantità enormi. Attribuire a un manipolo di pescatori in apnea la scomparsa della cernia bruna è una cattiveria gratuita di un’ideologia presuntuosa. A maggio, quando sono rientrato dall’inverno passato a Tenerife dovendo lavorare mi sono recato in una pescheria di Golfo Aranci dove <opera> un’agguerrita marineria di pescatori, per comprare quel pesce che non catturo mai: trigliette di scoglio da cucinare fritte con i calamari. Ho trovato delle cernie di 700/1500 gr sul bancone e quasi mi veniva da piangere. Lacrime di coccodrillo penserà qualcuno, tuttavia, se c’è da intervenire, è sul prelievo professionale, perché le cernie di Portofino sono state catturate per centinaia di anni in prevalenza dai pescatori di Camogli molto prima che si inventasse la pesca subacquea !
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